A Natale lascio libera la bambina.

Ritengo sia giusto, che sia un suo diritto e che io debba tutelarlo.

Le hanno insegnato che non si può essere bambini nemmeno da bambini e che, tuttavia, si devono avere tutti i limiti dei bambini, da bambini.

E allora io le insegno l’opposto, prima che sia troppo tardi, lasciandola libera.

Di dire o non dire, di muoversi o di stare ferma.

Può non comprendere gli adulti e le loro stronzate. Ha il diritto di non capire. Non deve per forza giustificare e assecondare.

Può rifiutare un sorriso se non le piace. E non deve nemmeno ringraziare.

Le riempio il letto delle sue rane di peluche. Quei peluche rigidamente vietati dal Sistema Superiore di Controllo della Bambineria.

Le dico: “Sporcati, non importa, c’è sempre tempo per lavare. Corri e gioca, c’è sempre tempo per stare immobili, avrai tutta la morte per farlo”.

Io la osservo da lontano, senza starle con il fiato sul collo. Sto attenta che non attraversi la strada in modo imprudente. Le preparo la merenda mentre guarda i suoi cartoni animati con gli occhi giganteschi. Le spiego che si può piangere e commuoversi e aver timore di quello che accadrà, anche se già conosce il finale. E’ legittimo, è naturale ed è bello. Così come è naturale aver paura del buio, anche se già le hanno insegnato a non averne.

La osservo da lontano e punto armi in faccia ai malintenzionati. Guai a chi. Stiano lontani.

Che sia libera. E’ il mio regalo di Natale per lei. Glielo devo.