27 luglio 2013

Sta scrivendo su un foglio.

Con una calligrafia aguzza, come se un ragno con le zampe tinte di inchiostro avesse camminato sul bianco.

“Tutto ciò che è in alto è come ciò che è in basso e tutto ciò che è in basso è come ciò che è in alto”.

Il ragazzo legge la frase più di una volta, poi corruga un po’ il naso lentigginoso.

– Ma che vuol dire? Non lo capisco! –

Di fronte al ragazzo è seduto un uomo che è vestito d’un saio. L’uomo guarda il ragazzo con i buchi neri che indossa al posto degli occhi. Prende una mano al ragazzo e versa sul palmo sollevato verso l’alto il ghiaccio rimasto sul fondo del bicchiere vuoto. Poi prende l’accendino del giovane, poggiato sul tavolo di fornica bianco, accanto alle sigarette, solleva l’altra mano del ragazzo e gli avvicina la fiamma sotto il palmo rivolto verso il basso.

– Ahia cazzo! Ma che fai? Ho capito sono opposti, ho capito, ma non ho capito lo stesso! –

L’uomo con il saio sorride. Vorrebbe ridere ma gli verrebbe fuori una specie di rantolo fastidioso. Lo sa.

Sono seduti su divanetti di plastica rossa, che vorrebbe somigliare a pelle. Divisi da paretine che li separano dagli altri avventori. E dal mondo intero, in realtà. Perché è da un pezzo che va avanti quella scena di silenzi e domande e loro non si accorgono di nient’altro. Il ragazzo s’è rovesciato della coca cola sulla maglietta a righe bianca e rossa, ma non lo sa. Ha gli occhi azzurri troppo concentrati su quel nero che ha di fronte e sulle mani che parlano.

L’uomo con il saio allora si alza e con le mani invita il ragazzo a fare lo stesso.

– Ce ne andiamo adesso? E dove? –

Il monaco prende per mano il ragazzo e lo trascina dietro di sé. Una voce dal bancone urla – E dove andate? E il conto? – Da una tasca del saio l’uomo prende delle banconote e senza guardarle le getta per aria, si volta verso il bancone, sorride e saluta con la mano. Senza fermarsi e tenendosi il ragazzo attaccato. – E che si fa così? E sei pure un uomo di dio! – gli urla il barista.

Sono fuori, nella notte. C’è un vento furioso e tutto sembra volare in un vortice. Carte, fogli di giornale, polvere.

Il ragazzo si infila velocemente la giacca che è riuscito ad afferrare dal sedile di plastica prima di essere trascinato via. Ma il monaco non gli concede il tempo di abbottonarla perché continua a fargli segno di seguirlo verso un giardino dall’altro lato della strada. Arriva prima del ragazzo che lo segue più lentamente e infila una mano nella terra. La strappa via tenendola nel pugno e mostra il pugno chiuso.

– E mbè? Hai preso la terra, lo vedo –

Allora l’uomo lancia la terra in aria e il vento la fa volare via spingendola lontano, prima che la gravità la faccia ricadere sul suolo.

– La terra vola con il vento. La terra e l’aria, i due elementi? Il vento può smuovere la terra? Che vuoi dirmi? Non capisco. Il vento sta in alto e la terra sta in basso e si uniscono così? Oppure così l’alto e il basso sono quasi la stessa cosa, sono allo stesso livello? –

Le lentiggini lamentano quel limite di comprensione e di comunicazione. Si sforzano di giungere ad una specie di livello superiore, come nei videogames. Le lentiggini vogliono capire e sapere. Ma gli occhi azzurri dubitano, non sono convinti, pensano d’essere con un folle che, in fondo, non sa nemmeno lui cosa voglia dire. Gli occhi pretendono una razionalità della quale le lentiggini possono fare anche a meno.

Gli occhi neri sentono quel limite e quella lotta interiore e vorrebbero con un fiore saper spiegare ciò che la lingua senza suono, la gola interrotta e le corde vocali silenti non possono fare.

Il saio prende nuovamente per mano il giovane e assieme si avvicinano all’automobile.

– Dove andiamo? Torniamo a casa? Di già? Non ho ancora capito! –

Le mani poggiano un indice sulle proprie labbra ad indicare la non necessità di quelle domande.

Il monaco guida sereno e il ragazzo accende una sigaretta.

– Posso fumare vero? Senti ma perché non hai lo stereo in macchina? Non si può nemmeno sentire un po’ di musica. Non parli, ma per sentire senti bene. Oppure ai monaci è vietata la musica? –

L’uomo si gira di sbieco verso il giovane, tira fuori un pezzetto di lingua e fa una pernacchia. Quello almeno lo può fare, può comunicare così buona parte della sua anima ludica, che troppo spesso si trova costretta dalla letargia di orecchie che non sanno sentire occhi né ascoltare mani.

La macchina si arrampica per una stradina stretta che sale su una collina con curve dolci ma decise. Tra campi incolti ed alberi solitari.

Arrivano in cima ad un’altura, là dove la strada si interrompe in un prato.

Scendono dalla macchina e guardano.

– Non ero mai stato quassù, non sapevo nemmeno che ci si potesse arrivare. Dio mio è bellissimo, è meraviglioso il mondo visto da qua sopra –

La città in basso è un insieme di puntini luminosi ed oltre si vede un pezzo di luna specchiarsi in un angolo di mare. Si indovina il nero del mare solo dallo stacco costiero delle luci e da quello spicchio di bagliore riflesso.

Accanto a loro c’è un ciliegio solitario, lasciato lì da qualche seme volato dal tempo. Il ragazzo è estasiato da quella bellezza e accende un’altra sigaretta in silenzio.

Il monaco si fa dare il pacchetto di sigarette e l’accendino. Porta una sigaretta alle labbra, l’accende e fuma anche lui.

– Ma che fai? Fumi? Ma sei un monaco! – Ride di una risata fresca e pulita.

Anche il saio sorride e alza una spalla che nella sua lingua significa – Ma sì, chi se ne frega! –

E restano lì ancora un po’ senza dire nulla.

– E’ bellissimo tutto questo, ma io ancora non ho capito –

Il monaco muove la testa a voler significare un “sì” che resta appeso alle parole mute di certi vuoti interpretativi. Sale in macchina ed apre l’altra portiera per il passeggero.

– Adesso torniamo a casa? –

L’uomo torna a guidare. Stavolta non sorride e i buchi neri sembrano assorti nella profonda riflessione di chi calcola dati per risolvere un problema irrisolvibile.

Gli occhi azzurri lo guardano dal basso verso l’alto, senza voltarsi e capiscono che non ci sono parole nemmeno per chi le parole le possiede.

L’automobile scende verso la città e l’attraversa. Dalle luci colorate delle vie centrali scivola leggera verso tetti bui e percorsi inconsueti.

Sono in una periferia vuota e lunga di uno stradone senza case. Solo fabbriche ed uffici. Chiusi e dormienti. Nessuno arriva sin lì con il buio, se non con scopi ben precisi e noti dalla notte dei tempi.

Ai lati dello stradone corpi seminudi attendono passeggiando l’arrivo di chi con il denaro compra minuti di pelle e spiccioli di fango da grattare via con una doccia frettolosa.

Il monaco rallenta l’andatura, seguendo altre macchine lente che sfilano come su una passerella di sguardi in scelta tra scaffali di supermercati.

– Che ci facciamo qui? Non mi piace questo posto. Mi mette il brutto dentro. E’ così triste… –

Il nero resta impassibile mentre fruga tra le nudità alla ricerca di un senso.

Sono tutte abbastanza giovani, chi più chi meno, giovani forse come il ragazzo, ma probabilmente molto di meno. Alcune bellissime, altre così così, ma ugualmente belle.

Il monaco si ferma di fianco ad una donna carina. Solo carina. La guarda un po’ dal buio dell’abitacolo, stretta in un mini abito nero. Un nulla che finge di coprire un’anima. Poi scende dall’auto.

– Devo scendere anch’io? Non mi va. Non possiamo andarcene? –

Gli occhi neri hanno un tono perentorio e il ragazzo si schiaccia l’azzurro piegando le sopracciglia chiare.

Sono entrambi di fronte alla prostituta che li guarda in silenzio con lo sguardo di chi non vuole nemmeno domandare. La stranezza del caso potrebbe o dovrebbe lasciarle qualche parola in più, ma si limita ad un sorriso sbieco in attesa di un responso.

Il monaco le sorride fissandola dai buchi che guardano e con un dito la indica, poi si tocca le labbra ed infine le labbra del ragazzo.

La donna è abituata ad una gestualità silente, fatta di segni frettolosi dai sensi inconfutabili. Quello è un segno anomalo, ma lo comprende ugualmente.

– Vuoi che lo baci? –

Il saio risponde affermativamente con la testa.

– Non bacio mai i miei clienti. Mai! Se vuoi ti do tutto il resto, ma un bacio no –

Il ragazzo dimena le lentiggini protestando – No! Non mi va, non mi piace questa cosa! Non faccio queste cose io, non la voglio! Andiamo via! –

L’uomo gli poggia una mano ferma sulla spalla e lo guarda nell’azzurro sottolineando la certezza di un atto con il sapore di una via conosciuta e di un cammino irreversibile. Poi giunge le mani in segno di preghiera verso la prostituta e mostra da una tasca una banconota. La guarda per parlarle di perché inesprimibili.

La donna è abituata ad osservare occhi e ad ascoltarli nel frammento di qualche istante. Parla quella stessa lingua.

– Va bene. Però che sia uno. Un solo bacio –

– Devo proprio? Non mi va. Devo proprio? –

Gli occhi neri sono immobili nell’azzurro e scuotono le lentiggini invertendone il senso.

Il giovane si avvicina lento ed incerto alla sconosciuta. Lei sa cosa fare, anche se quel fare è decisamente inconsueto e quell’intimità non conosce la sua strada.

Poggia le labbra su quelle del ragazzo che resta rigido e quasi tremante.

Dolcemente socchiude quella bocca lievemente serrata dall’incontenibile esigenza di un rifiuto da dover arrendere e spinge la lingua verso un sentiero da percorrere.

Mentre lo bacia gli accarezza il volto, a metà tra una stretta e una rosa sfiorata. Il ragazzo sente un profumo di fiori che gli occhi non avrebbero mai visto se le lentiggini non si fossero spinte un po’ avanti. E si lascia andare a quel bacio che apre un orizzonte di soluzioni incalcolabili. Si lascia andare e sente un calore invadergli il corpo e diffondersi tra le vene dell’anima. Un calore così intenso e nuovo, sconosciuto a tutti gli altri baci della sua esistenza. Si lascia andare e gli occhi non pensano, le lentiggini vagano per l’aria scontrandosi tra loro come atomi impazziti. Si apre quasi con violenza, afferrando i capelli della donna dalla nuca. Vorrebbe mangiarla, divorarla, inglobarla dentro di sé. Vorrebbe che tutto fosse suo. Tutto l’universo in un attimo.

E sente. Sente la terra e il vento, il ghiaccio e il fuoco. Sente l’inizio di tutte le cose e la fine di tutte le cose. Sente che un ciliegio solitario è la riproposizione di un’anima nuda. Sente che le mille luci in basso sono come le stelle in alto. Sente. Sente di avere incontrato la Verità e di averla sfiorata con la punta delle dita.

Spegne il bacio che vorrebbe proseguire ancora e ancora perché sa di non essere sazio di quel sentire. Ma la donna lo guarda da una vicinanza mai esistita prima.

E lui pensa che forse anche lei ha sentito. O forse è solo la sua immaginazione. Certamente è così. Sono solo sciocchezze. Totalmente prive di senso. L’azzurro si riassesta tra i globi assorti in un vuoto ormai infinito.

Il saio è già in macchina, seduto al suo posto, in attesa.

Il giovane con un angolo guarda la donna a ore, mentre si allontana per tornare in auto. La guarda con lo spigolo per non sentirsi strattonare dall’atrocità di uno sguardo che finisce nel buio. In quel buio che non sa ancora da che parte si trovi.

Il monaco guarda dritto davanti a sé mentre guida. Attende. Qualcosa che conosce, ma che forse potrebbe essere rimasto ancora conficcato nella sua gola strozzata dal silenzio.

– Adesso ho capito. Adesso ho capito – E’ solo un sussurro lento.

Anche il giovane, scosso e fermo, guarda dritto davanti a sé. E il suo volto non è lo stesso del ragazzo di un’ora prima.

L’azzurro e le lentiggini ora si muovono paralleli. Camminano insieme con un’armonia di suoni che definiscono un desiderio condiviso. L’azzurro e le lentiggini ora vogliono la stessa cosa. Vogliono.

Tutto ciò che è in alto e tutto ciò che è in basso.

4 risposte a “27 luglio 2013

  1. Pingback: tilla durieux

  2. bakanek0

    Voglio sposarti con tutti i riti del mondo, in tutti i luoghi del mondo, e raccontarti favole e ascoltare le tue favole.

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