Vaffanculo

Urla.

Anche se ogni suono ti sembra morire in gola, tu urla. Urla più forte che puoi.

Anche se il tuo viso è incastrato in un’espressione di sgomento immobile, tu urla.

Urla se non riesci a difenderti. Perchè, se non ti difendi e non urli, beh, allora, in fondo, non era davvero così grave, magari lo volevi pure tu.

Urla se riesci a difenderti. Perchè, se ti difendi e non urli, allora sei una stronza aggressiva, allora forse potevi anche evitarlo. E, chissà, magari l’hai pure provocato.

Urla, perchè se qualcuno ti afferra, ti immobilizza, ti morde con rabbia e cerca di leccarti, se non urli, in fondo, ti stava solo manifestando il proprio apprezzamento. Sei anche un po’ ingrata.

Urla, perchè, se non urli, tutto sommato non sembri davvero così tanto turbata.

Urla, perchè, se non lo fai, i lividi che avrai sul tuo corpo non significheranno nulla. Non hai urlato, magari era un gioco erotico.

Urla, perchè, se non c’è un amico che davvero ti ama nelle vicinanze, potresti rimanere sola con i tuoi segni a dover dimostrare a una giuria di stolti l’esatto meccanismo, movimento, dinamica, motivazione. Anche se i lividi addosso sono ben visibili.

Urla, perchè, se ad aggredirti non è un essere losco e pregiudicato o un extracomunitario, ma una persona perbene e tanto simpatica, allora c’è qualcosa che non torna.

Urla, perchè, se è ubriaco fradicio e alcolizzato, beh, sai, poverino, ha i suoi problemi e poi non si rendeva conto.

Tu urla. Urla sempre. Anche se sei in una casa piena di gente. Anche se sei nella tua casa, dove ti senti sicura e protetta.

Urla sempre.

Non fare il mio errore. Non difenderti da sola perchè puoi farcela, perchè sei una donna forte, perchè sei indipendente, perchè non tolleri un’aggressione fisica accompagnata a un’umiliazione verbale.

Non te lo perdoneranno. Non è ammissibile. Urla chiedendo aiuto. Possibilmente l’aiuto di un maschio. Sei fragile, indifesa, incapace. Sei incapace. E poi sei donna. Hai le tette e si vedono pure. E l’uomo è cacciatore, si sa.

***

Tu che mi hai fatto del male. Tu che mi hai morso rabbiosamente. Tu che mi hai schiaffeggiato. Tu che mi hai leccato. Tu che mi hai quasi distrutto casa. Tu che intanto ridevi. Tu che mi hai detto che avevo esagerato nel dare un calcio nelle palle a chi mi ha lasciato lividi e mi ha insultata. Tu che eri ospite in casa mia e hai bevuto il mio vino. Tu che hai pisciato per terra nel mio bagno, costringendomi a pulire il tuo piscio mentre mi veniva da vomitare, prima di fotografarmi il corpo alla luce dell’alba, prima di andare in un pronto soccorso.

Io ti sto guardando negli occhi. Io vi sto guardando negli occhi.

Vi guardo da qui. Vi guardo negli occhi senza urlare. Vi guardo negli occhi senza parlare.

Io vi guardo negli occhi.

E anche se i miei occhi non li vedete, io ve lo domando.

Voi riuscite a guardarmi negli occhi?

Voi riuscite a guardarvi negli occhi?

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Clue de Sac

Miss Scarlett nella sala da pranzo con il candeliere giocava a illuminare le tenebre con Mr. Green.

Questi, tuttavia, distratto dal pensiero di un vorticoso giro in sala da ballo, sfoderava sorrisi tanto abbaglianti da spegnere tutte le candele pazientemente accese, lasciando, in tal modo, Miss Scarlett con un moccolo consunto tra le mani e lo sguardo perplesso.

Nel mentre, Mrs. White nella sala da biliardo, con il pugnale, intratteneva Mr. Plum. Ella, torcendosi braccine e manine e facendo gli occhioni strabuzzati, insisteva nel convincerlo che un pugnale, in fondo, potesse essere adatto a mandar la biglia in buca. Tanto appariva delicata e piccola, Mrs. White, che Mr. Plum si decise a poggiar la spranga in un angolo, nonostante le avesse già sfregato la capocchia di abbondante gesso blu.

In biblioteca, invece, il Colonnello Mustard, si lisciava il mento domandandosi se  il panciotto indossato fosse quello più adatto al luogo e all’orario. Con la corda tentava di accalappiare farfalle che si facevano beffe dei suoi modi pomposi e della sua stolida alterigia. Ciò nonostante, il medesimo, incapace di guardare oltre il suo naso, si faceva persuaso che lo sfarfallio veloce fosse un vivace cenno di affetto nei suoi confronti.

Mrs. Peacock se ne stava in veranda, con la rivoltella poggiata in grembo e, con le mani foderate di delicati guantini di pizzo nero, sfogliava, appena annoiata, un romanzetto rosa d’altri tempi. Ogni tanto sollevava lo sguardo verso un angolo imprecisato, domandandosi quale potesse essere il colore più adeguato alla nuova fodera del suo divano.

Miss Scarlett, colta da profondo sconforto, raccolse tutti i mozziconi di candela e con gli occhi domandò a Mr. Green di aiutarla a riattizzare una piccola fiamma. Mr. Green, per tutta risposta, le agitò in faccia una chiave inglese e, ormai ebbro di visioni di danze estasianti, scoppiò a ridere e corse fuori.

Mr. Plum, nel tentativo di conferire la giusta spinta e direzione alle biglie con il pugnale, continuava a ferirsi le mani e il suo sangue gocciava sempre più abbondante sul tappeto verde. Guardando con sospetto Mrs. White, la vide trasfigurarsi in volto: da bambina un po’ storta in bambola di pezza dal ghigno clownesco. Non fece in tempo a riafferrare la spranga, che quella corse via ridacchiando stridula.

Si incontrarono nel corridoio centrale.

Miss Scarlett e Mr. Plum, entrambi osservandosi silenti, occhi smarriti, volti pallidi. Una stilla di sangue caduta sul pavimento catturò lo sguardo di Miss Scarlett sul pugnale nella mano di Mr. Plum, che, a sua volta, non potè non notare il candelabro stretto tra i pugni della donna.

Si voltarono assieme quando risa convulse giunsero dalla sala da ballo e assieme, con determinazione, vi si diressero.

Spalancate le porte della sala, con orrore scorsero lo spettacolo palesatosi. Mr. Green, in totale balia di allucinazioni di grandi successi, teneva per una mano la bambola di pezza e la faceva volteggiare, ridendo sguaiatamente. Mrs. White, con il sorriso da clown, si inchinava beffarda dinanzi a un pubblico assente e gioiva di quella mano folle che la conduceva. Entrambi sorridevano alle pareti, ai lampadari, a quadri e tappeti e persino al camino, che, seppure muti e inanimati, facevano le veci di spettatori entusiasti. La visione nell’insieme appariva raccapricciante, ma, ancor più, tristemente patetica.

Un rapido cenno d’intesa e Miss Scarlett e Mr. Plum si avventarono all’unisono sui folli beoti. Miss Scarlett colpì più e più volte Mr. Green sulla zucca ormai inutile. Il candeliere suonava piccoli tonfi sordi e il sangue colava dalla fronte di Mr. Green lungo l’argento, le mani e le braccia di Miss Scarlett. Dal canto suo, Mr. Plum non fu da meno nell’affondare il pugnale nel corpo della pupattola, la quale emetteva, nel contempo, un piagnucolio lamentoso, lungo e assordante.

Il Colonnello Mustard udì strani rumori oltre l’uscio della biblioteca, ma decise di non darvi troppo peso: tutto ciò che non lo riguardava in prima persona non rivestiva per lui alcun interesse. E, d’altro canto, era troppo intento a correr dietro alle farfalle, certo dell’evidente apprezzamento nei suoi confronti. D’altronde, come avrebbe potuto essere altrimenti? Non era forse un uomo interessante, unico e raffinato nei modi? D’un tratto, tuttavia, l’insieme variopinto si radunò a mezz’aria sbattendo veloce le alucce e, nel medesimo istante, proprio dinanzi al viso del Colonnello, proruppe in una sonora e lunga pernacchia. Subito dopo, le farfalle, sghignazzando beffarde, e anche un po’ sguaiate a onor del vero, volarono via dalla finestra. Il Colonnello Mustard, incredulo e sgomento, colse d’un lampo la menzogna cui per tutta la vita s’era accompagnato e, guardando la corda che ancora teneva tra le mani, si dedicò, appena tremante, ad apprestare un cappio.

Miss Scarlett e Mr. Plum, terminata l’opera, ricoperti ormai di sangue in ogni dove, uscirono dalla sala da ballo onde effettuare un cauto sopralluogo della casa. Dinanzi alla porta della biblioteca, Mr. Plum, cavallerescamente, si fece innanzi e la aprì, guardingo e con lentezza: il corpo inanimato del Colonnello Mustard pendeva pesante, abbandonato e grottesco, dal lampadario centrale.

I due, dopo una rapida occhiata, fecero spallucce e proseguirono il giro di ricognizione.

Giunsero così alla veranda.

Mrs. Peacock, vedendo arrivare i due, grondanti sangue, affatto turbata, chiuse il romanzetto, curandosi di infilare il segnalibro d’argento decorato a intarsi celtici nella pagina giusta. Poi li osservò, incuriosita e silente.

Miss Scarlett e Mr. Plum, attoniti dinanzi a tanta deliziosa pacatezza e incerti sul comportamento da tenersi, restarono immobili mentre Mrs. Peacock afferrava la rivoltella dal grembo e, senza alzarsi dalla poltroncina in vimini, rivestita da cuscini verde-prato-inglese-appena-tagliato, la puntava dritta innanzi a sé, mirando al petto di Miss Scarlett.

Mr. Plum guardava, sconcertato, incapace e impaurito, alternativamente la rivoltella puntata e il volto di Miss Scarlett, la quale, invece, fissò gli occhi, fermi e inespressivi, in quelli di Mrs. Peacock.

Costei, con un accenno di sorriso e la mano ferma, spostò la mira dal petto di Miss Scarlett a quello di Mr. Plum. Fece fuoco e lo colpì con estrema precisione al cuore.

Il corpo s’accasciò in terra.

<Viola. Penso che il colore più adatto sia il viola.>

Mrs. Peacock infilò la rivoltella tra il cuscino verde-prato-inglese-appena-tagliato e il bracciolo della poltroncina. <Non so… ormai mi son fissata con il gridellino.>

<E gridellino sia, allora! Una tazza di tè, mia cara? La cucina, se non erro, dovrebbe essere in ordine.>

Mrs. Peacock si alzò dalla poltroncina. <Una tazza di tè non si rifiuta mai.>

<Ora dovremmo trovarne di nuovi.> La voce di Miss Scarlett si fece greve.

Attraversarono il corridoio imbrattato di sangue prima di entrare in cucina.

<E’ così seccante! Diventa sempre più difficile trovarne di nuovi.>

Mrs. Peacock si sedette al tavolo, mentre Miss Scarlett accendeva il fuoco sotto il bollitore. <Ne convengo mia cara. Senza contare, poi, che ormai si trovano solo pessimi giocatori.>

Mrs. Peacock agitò una manina guantata nell’aria. <Non ne parliamo! Pessimi e incapaci. Perdono subito la testa!>

Il fischio del bollitore sovrastò per qualche attimo la voce di Miss Scarlett, che, scuotendo la testa con deluso disappunto, versò l’acqua bollente nella teiera di porcellana bianca con decorazioni blu di scene di caccia. <Una banale lusinga da poco, una parolina asciutta ben assestata e in un istante non capiscono più niente. Dan di matto: isterie e scene di esaltazione prive di fondamento… che tedio, mia cara. Che tedio!>

Mrs. Peacock si scostò appena dal tavolo quando teiera e tazze furono servite. Distrattamente prese un cucchiaino d’argento tra le dita: il bagliore luccicante accompagnò la domanda. <Ma dove son finiti quei meravigliosi giocatori d’un tempo? Dove?>

<Temo li abbiam fatti fuori già tutti.>

<Già…. temo anch’io….> sospirò Mrs. Peacock. Poi, dopo aver lasciato cadere una zolletta di zucchero nella tazza e mentre roteava il cucchiano all’interno: <E comunque la prossima volta tocca a me fare Miss Scarlett.>

<Sì è il tuo turno. A proposito, hai lasciato il segnalibro nella pagina giusta? Non sei andata più avanti, vero?>

<Ma certo! E’ deciso: questo libro lo dobbiamo finire assieme.>

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Comunque

Piovi? Non piovi? Che hai deciso di fare?

Te ne stai lì, nero, livido. Ogni tanto un vento improvviso e forte che fa volare tutto. Poi diventi immobile, una bonaccia pigra o distante. Poi un’afa che mi soffoca lentamente. E poi di nuovo vento.

E allora che fai?

No, non perchè ti vorrei in un modo piuttosto che in un altro. Mi piaci comunque.

Così, per sapere, per capire, per vedere. Come sei, cosa desideri.

O anche no.

Mi piaci anche quando mi sorprendi, quando ti decidi in un attimo. Quando mi bruci di risate abbaglianti, quando mi arrivi addosso con la furia della tua vastità, quando ti sveli a tratti, tra il candore soffice e la patina di grigiore, quando mi fai arrossire, vermiglio, arancio, rosso d’incendio, quando ti muovi veloce e con lo sguardo ti seguo tra l’azzurro e il blu, quando con il tuo mantello nero mi fai compagnia nel silenzio.

Quando sei così lontano, così distante, che nemmeno se avessi le ali ti potrei raggiungere.

Sempre, mi piaci sempre. Così come sei.

Anche solo a osservarti da quaggiù.

Titolo pro forma per chi stasera ha storto la faccetta perchè non metto mai i titoli, ma che non ci si abitui eh.

Tutti.

Oggi ho parlato con tutti. L’universo mondo oggi aveva bisogno di parlare.

Mi barcamenavo tra i soliti yang lian chang sheng e compagnia bella, tentavo di risolvere un problema di compatibilità tra software, perseguivo la mia opera sanzionatoria nei confronti della masnada di coglioni del post precedente e intanto rispondevo. Al cellulare, al telefono di casa, a uotsap, agli sms, alle mail e al citofono.

Tutti.

Ci devono essere delle congiunture astrali strane a volte, per cui persone che non si conoscono, persone che non sento da mesi e mesi, all’improvviso, tutte nello stesso giorno, persino negli stessi momenti, hanno bisogno di parlarmi.

In buona parte sono state belle parole: l’amica dei miei giochi; un amico a cui voglio un gran bene anche se probabilmente non se ne rende conto ma va bene così; una nuova bella amica per fissare un appuntamento; vecchi compagni mandaLini; attuali compagni mandaLini; la mia seconda laoshi mandaLina; il fiancè; Ares; il migliore amico e la C.

E poi quelli che avevano bisogno di un “favoretto”, una “cortesia”. Pure quelli tutti oggi.

E allora si comincia la pantomima del “che splendida persona che sei” “tu sei speciale” “ma quando ci vediamo?” “mica ti sarai dimenticata di me?”, cui fa seguito il miglior esercizio delle mie abilità dialettiche per fornire meravigliose risposte pel tramite delle quali poter dire: “Col cazzo che ti faccio un favore, pensi davvero di fottermi così?”, ma in un modo tale che si attacchi comunque il telefono con tanti sorrisi e baci. E saluti a soreta.

Perchè ormai ho i calli sulle chiappe.

Vuoi per la mia personalità, vuoi per la mia ex professione o financo per la mia peculiare sessualità, sono sempre stata circondata da pacchi e pacchi di gente in “cerca” di qualcosa e con la precipua intenzione di non dare nulla in cambio o comunque il meno possibile.

E allora mi sono abituata. A vivere con la faccetta a metà, annoiata e sorniona, e a essere estremamente refrattaria a qualsiasi forma di lusinga. Il leccaculismo mi provoca l’effetto opposto. Però ben volentieri, se si è bravi, accetto il gioco a chi fotte meglio l’altro. E’ un modo come un altro per abbattere la noia.

E ho adottato un metodo compatibile con la mia natura.

Io intanto do.

Nonostante il mio migliore amico mi critichi sempre, guardandomi ormai con la faccia biasimante e rassegnata.

Perchè mi piace, perchè penso che talvolta basti poco, perchè talvolta non mi costa proprio nulla, perchè magari la persona lo merita e io ancora non lo so, perchè vorrei che gli altri facessero lo stesso, perchè ho bisogno di conoscere e capire, perchè quando mi guardo allo specchio  mi voglio bene.

Poi osservo.

Come si comporta l’altro.

Percepisco il momento in cui comincia a prendere, anche fosse solo per aver sollazzo nei suoi momenti di noia o per tentare di ricavare un qualsiasi vantaggio possibile, percepisco il momento in cui pensa di aver acquisito una certezza. Lascio fare, faccio finta di niente. Percepisco il momento in cui pensa che qualcosa possa essere dato per scontato, così, con poco.

E allora me ne vado. Senza spiegazioni.

Anche quelle le fornisco in anticipo.

Nel gruppo di giovani cerebrolesi che mio malgrado ogni tanto devo frequentare, c’è una ragazza con cui ogni tanto mi intrattengo a chiacchierare, essendo l’unica che palesa la presenza di sinapsi all’interno della scatola cranica e che, incredibilmente, conosce persino il congiuntivo.

La settimana scorsa, mentre io ero impegnata con i mandaLini, la medesma doveva svolgere un’attività per lei importante, con alcuni membri della masnada di coglioni. Avrei voluto assisterla, ma in quel giorno dimmerda ero bloccata dai quan, yan, ying, shuo + finte multe e pronti soccorsi.

Quando l’ho chiamata per sapere come fosse andata, ho sentito che le tremava la voce e, dietro mia sollecitazione, in lacrime, mi ha raccontato tutto.

Invece dei pochi che avrebbero dovuto essere con lei, si è presentato tutto il gruppo di testa di cazzo. Accordatisi in precedenza, le hanno impedito di svolgere il suo lavoro, l’hanno sbeffeggiata e derisa, si sono ubriacati e hanno mandato tutto in vacca.

Non solo. Ho scoperto che da gennaio è vittima di bullismo da parte dei pezzi di merda, che alle spalle gliene dicono e fanno di tutti i colori, isolandola quanto più possibile.

E sapete perchè?

Perchè lei è “normale”.

Perchè lei non ha uno smartphone e non usa facebook (incredibile, ma sì, è cominciata così), perchè è ben educata e dice “grazie” “prego” “scusa”; perchè non saluta dicendo “ciauuuuuzzz” e non usa diecimila emoticons nei messaggi; perchè non fa comunella per criticare e sbeffeggiare di continuo gli altri su come sono vestiti o che capelli hanno; perchè non sta sempre a ridere come una cojona con tutti cercando a tutti i costi di fare la simpatica; perchè non fa la gara di quanto sia incapace ad allacciarsi le scarpe o a rompere oggetti; perchè prende seriamente lo studio, è diligente e inutilmente propositiva. E’ normale. E anche carina, fisicamente carina.

Normale.

E io mi incazzo il triplo, perchè i testa di cazzo non sono infanti, hanno un’età compresa tra 19 e 25 anni. E perchè appartengono tutti a famiglie molto molto molto benestanti e infatti non si curano minimamente del loro futuro (qualcuno, peraltro, sa già di averlo assicurato).

E poi sono tutti depressi. Tutti a dire che sono depressi, che hanno problemi… minchia per essere depressi hanno una socialità e una vitalità straordinarie! Forse non sanno bene cosa sia la depressione. Campano su sti cazzo di social network, si inviano messaggi di continuo, scrivono e postano a raffica ovunque. Appena fai notare un errorino grammaticale, ti dicono che però loro hanno problemi di autostima e quindi NON POSSONO essere criticati. No non gliel’ho mai detto che fanno bene ad avere problemi di autostima perchè non valgono un cazzo sotto qualsiasi aspetto. Avrei dovuto?

Sono depressi e apatici, a detta loro, eppure sono boriosi, arroganti, cattivi, critici solo con gli altri. Hanno problemi di autostima, a detta loro, però pensano di essere superintelligenti nonostante non capiscano mai un cazzo.

Io vorrei conoscere i loro genitori, perchè, subito dopo i figli, i miei calci in culo andrebbero lì, con grande possenza.

Poi mi si dice che dovrei avere speranza nelle generazioni future.

Malimortaccivostra.

Non c’è su sto cazzo di portale un “luogo” in cui si possano vedere i “nuovi iscritti” o anche semplicemente, in via generica, le ultime cose pubblicate, in ordine cronologico, su blog in italiano?

Ultimamente giro e rigiro e trovo sempre gli stessi bloggersss. Ho tutti i tag di ricerca che boccheggiano; nei blog consigliati perchè seguiti da persone che seguo, trovo “roba” che mi domando chi è lo stronzo dei miei follower che me li fa comparire; blog di invasati di cristo e di chiese di tutti i tipi, che mi arrivano sotto al naso (a me!?), blog di brutti sporchi e cattivi manco l’ombra…

Sto wp è un paesello microscopico, diosanto!

 

Non m’inganni: questa è una notte d’estate.

Si rivela, sinuosa e suadente, fare capolino in un lieve fremito di narici, dilatarsi nelle pupille, espandersi nel respiro.

L’eco muta di un sasso lanciato sull’acqua, un riverbero crescente di onde, un rametto d’edera avvinghiato alla gola, una scintilla pizzicata sulla pelle.

Dovrei forse deformarmi l’anima e mettere a tacere la sua voce invitante?

Potrei mai rinunciare a un accenno di tentazione?

Piuttosto do fuoco a Roma.