Coloro che, ignorandolo, indossano il dono dell’essere, mi piegano le ciglia dinanzi allo spettacolo muto della distanza.

Sorrido solo a destra con una mano protesa e un gesto di pregiata fattura verso chi si annaspa un minuto di altezza.

Ho la ragione al centro del petto a confermarmi gli occhi.

Mi infilo in una volontà di qualche taglia in meno per sentirmi spogliata di ogni senso e affidarmi all’evanescenza di un nuovo odore.

Pur essendo ovunque, io non ci sono.

Chi mi ama non mi segua.

Rosa marcet oriens

Perchè fermarsi anzitempo nella sfrenata dinamica degli strali emotivi che mi incedono possenti tra la carne e il respiro?

Perchè consentirsi un soffocamento ingoiato di parole e mani immobili a mezz’aria, congelate in un tempo già finito, tra la brina dei sostantivi incastrati tra i denti e le labbra corrose da un bacio mai schiuso?

Conservo la morte sulla punta della dita. E’ qui a sfiorarmi a ogni istante per ogni battito delle palpebre. Potrei sbriciolarla, polverizzarla, lasciarla scivolare. Come sale spargerla sulle ferite. Oppure soffiarla tutt’attorno a farmi sapida l’aria.

Mi basta guardarmi le dita per ogni risposta ad ogni domanda e imprimermi un polpastrello sulla fronte tra gli occhi.

Ho il caduco intrecciato tra i capelli e il profumo dei fiori nel momento in cui – in quell’esatto istante in cui – trapassano dalla freschezza al ricordo.

Mi serbo ogni giorno un nuovo segreto da svelarmi sul cadere delle luci e farmi grande il respiro, farmi ardente la febbre, farmi umidi gli occhi.

Sto sulle punte lungo il confine tra il sacro e il vacuo a rammendarmi nuovi attimi.

Non ho paura dei sapori dolci e mi pregio di amare l’amaro.

Sono la mia nuova strada senza paura, la mia  scintilla, sono la mia nota perfetta, sono la mia sorgente perenne, sono il mio giorno nascente, sono l’incipit della mia storia, sono il mio tempo.

Io sono il mio tempo.

Ovunque io debba poggiare i miei piedi per camminare, qualsiasi cosa debbano calpestare per andare avanti, che siano petali o cadaveri, non fermerò il mio passo.

A Marco.

Giusto per scassare la minchia al volo prima di uscire.

Sennò non mi sento veramente bene.

CONTATEVI I FOLLOWERS CHE AVETE FUORI DI QUI!

Nella vita, nel quotidiano, nella concretezza, di giorno e di notte, con il sole e la pioggia, d’estate e d’inverno, con la tristezza, il riso, i problemi, il cazzeggio, i discorsi astratti e la birretta sghignazzante.

E soprattutto quando avete bisogno, quando c’è bisogno.

Contatevi quelli di followers e contatevi tutti i loro commenti con il peso, la rilevanza e la leggerezza di chi c’è. Chi davvero c’è.

E, già che ci siamo, fottetevi pure un pochino. Tanto per. Ma con affetto.

Sempre con tanto affetto.

Non ti sembra un po’ presto per…? Perchè hai sempre fretta di…?

Perchè io lo so quanto sia breve la vita. Io lo so quanto sia disperatamente poco il tempo.

Perchè la vita non si ferma solo con la morte. Si ferma anche quando arriva qualcosa che ti impedisce di fare tutte le cose che prima potevi fare. Si ferma quando il dolore fisico è l’unica l’unica l’unica cosa che riesci a sentire. Si ferma quando l’impotenza blocca ogni movimento. E si ferma anche con la morte.

Anche se fingi che non sia finita, per sopravvivere. Ma non vivi, sopravvivi. Aggrappato ad un istinto e tentando di sollevarti, ricadendo di continuo sull’impotenza di. Ricadendo continuamente su tutti gli “avrei potuto…”.

E il profondo disprezzo che nutro per chi ha bisogno di anni per decidere se accendere o spegnere un interruttore per la luce di un corridoio è immenso quanto l’infinito che la mente umana non può pensare.

E a chiunque mi dica “questa è la vita, è una cosa naturale” io auguro che prima dei 30 anni sia vittima di un incidente senza propria colpa e perda l’uso delle gambe per potergli andare incontro con una pacca sulla spalla dicendogli “così è la vita, è una cosa naturale”. Con il profondo godimento di quel disprezzo che vorrei vomitare addosso con tutti gli acidi più corrosivi del pianeta. Un profondo godimento tale che vorrei infilarmi una mano nella fica ora.

Perchè tutti quelli che ti dicono “è naturale” lo fanno sentendosi inconsapevolmente, inconsapevolmente come tutti i coglioni dell’universo, immortali. E poi si stupiscono quando arrivano tumori fulminanti che, anche se non hai mai fumato, mai bevuto e la tua vita è stata irreprensibilmente sana, guarda caso han scelto proprio te e te la prendi in culo fino in fondo domandandoti un perchè che non ha risposta.

Sono tutti immortali con le vite degli altri.

Poi ci sono quelli che ti parlano di progettualità. Nel culo ve la ficco la vostra progettualità fatta di due stronzate da merda di cane.

Che siete capaci solo di fare due passi sotto casa e pensate di aver girato il mondo dell’anima e di essere stati pure sulla luna.

La progettualità fatta di centri commerciali e di un domani da gitarella fuori porta.

La progettualità è una cosa seria. Che non può prescindere mai dalla consapevolezza che può non esserci un domani e, nonostante la consapevolezza, è in grado di costruire cattedrali di vetro. Anche con la gitarella fuori porta.

La progettualità implica il necessario minimo pusillanime coraggio di dire due parole, di prendere una seppur vaga decisione di annullare e di inglobare. Annullare il chi e inglobare l’altrettanto. Non il gelatino della domenica.

Che il gelatino della domenica ha un sapore buonissimo dopo aver preso altre decisioni. E non è il solito pistacchio verde di coloranti che ti fai andar bene pur non di doverci pensare.

Vi vedo muovervi come marionette spinte dalla finta coscienza di essere. Andare su e giù pensando davvero di fare qualcosa. Marionette manovrate dalla paura alla quale non dover pensare attraverso meccanismi di spinta per inerzia. Per inerzia. Andare avanti per inerzia per poi lamentarsi della noia.

Vi spaccherei il culo con la vostra inerzia e ve lo riempirei della vostra noia. La noia quella piagnona, non quella consapevole della ricerca estetica. Che cazzo ti annoi porcoddio? Milioni di movimenti ci sono da fare a volerli davvero. Miliardi.

Muoviti finchè puoi. Porcoddio di nuovo. Muoviti!

Oppure si può rimanere immobili. Ma seriamente immobili. Per scelta, con decisione. Ferma e fermi. Immobili nella propria mente e trovare, ugualmente, miliardi di movimenti da fare. Miliardi. E’ così che sopravvivono quelli che non posso più fare, quelli che non possono più muoversi. E non si annoiano. No. Si spingono avanti nell’immobile.

Porcoddio, coglione.

Valanghe di sberle. Litri di acido.

A chiunque si infili in un vagone della metro zeppo e si lasci trasportare diventando un numero qualsiasi e senza il vero piacere del trasporto. Solo perchè non sa fare altro. Solo perchè non ha mai pensato di fare altro. Solo perchè il dover pensare di fare altro costa fatica. Solo perchè il dover pensare di fare altro fa paura. E allora è meglio incastrarsi tra altri numeri senza numero come carni da macello su un carro bestiame. E allora te la meriti la noia e ti meriti pure l’amara sorpresa del fulmine che ti spezza la vita. Coglione scioccamente immortale.

Non è presto. E’ sempre troppo tardi.

Non ho fretta. Ho consapevolezza.

Non vivo senza un domani. Vivo senza paura di vivere.

Vaffanculo.

Sto in pace deddio stanotte.

Mi potrebbe crollare la casa addosso e non mi sposterei di un millimetro.

Cercherei solo di salvare il calice di cristallo del servizio bono de mamma ed il prosecco ivi contenuto.

CON – SA – PE – VO – LEZ – ZA

Quando sulla lavagnetta della vita s’è in grado di spuntare qualcosa e di segnare qualcos’altro, il passetto avanti nella scala naturale porta sempre ad un suono migliore.

Ho iniziato a fare il conto alla rovescia per quell’aereo che mi porterà lontano.

Nord

Lei cammina.

I tronchi argentati delle betulle riflettono la luce della notte e l’accompagnano come fantasmi, alti fino al cielo.

Suo fratello, da lontano, le chiede se non vuole che l’accompagni.

– No, qui non ho paura di niente –

Lei cammina.

A piedi nudi sul piccolo sentiero poco battuto. A piedi nudi perchè sotto di lei, sotto le betulle, sotto quel cielo, è pieno di mirtilli. E lei ha pensato – Se proprio devo schiacciarli, saremo in due a sentirlo. Ci sentiremo entrambi, ci feriremo entrambi –

E’ freddo. Se lo sente sul viso, sulle mani, tra i capelli. Ma il profumo silenzioso di quelle betulle,  le si insinua tra i respiri, le sfiora la pelle, come mani gentili che l’accarezzano scaldandola.

Pensa d’esser morta, d’essere anche lei un fantasma che cammina tra i fantasmi. E quella luce della notte senza notte, cancella i colori, ma lascia tutte le sfumature di grigio possibili.

Lei cammina.

E pensa – Forse sono morta -.

Ma sotto i piedi sente qualcosa di pungente e doloroso e sente qualcosa di liquido e appiccicoso e pensa che sia il sangue versato per lei e che, forse, un po’ del suo sangue stia ricambiando quel sacrificio.

S’avvicina a una betulla e l’abbraccia, le poggia il viso sulla corteccia luminosa, ne aspira il profumo e le sussurra – Non mi abbandonare mai, ti prego – e in pegno le dona una lacrima.

Lei cammina.

Arriva alla piccola sauna di legno da cui si sprigiona più forte l’aroma intenso dei tronchi.

E, poi, davanti al lago.

Acqua gelida e buia.  Quell’acqua è l’unico buio davvero buio lì.

Lei pensa – Forse non sarò mai più felice come ora. Forse qui non sarò mai più sola. Forse sono davvero morta –

E lascia che quell’acqua gelida e buia l’accolga dolcemente e quando, alla fine, vi immerge completamente il volto, lei pensa.

Lei pensa – No, non sarò mai più viva di così  –

La pillola rossa

Hai il cuore che viaggia costantemente a 120 bpm, la realtà intorno a te è fastidiosamente lenta e NON ti sei drogato?

Le persone si muovono, parlano e pensano troppo lentamente rispetto a te? Percepisci una loro discrasia nella velocità con cui fanno stronzate e la lentezza (o assenza) relativa a questioni più essenziali, profonde o vitali?

Incontri solo sguardi troppo spenti per te e hai già cercato di scuotere spalle dicendo: “Aò, guarda che sei vivo eh!”, ma ti hanno risposto: “Viva ce sarai te e tre quarti della palazzina tua, io sto bene nella mia calma e rassicurante morte lenta e poi io ho un sacco di cose serie da fare”.

Vedi dragoni ma non riesci ad interagire con loro?

Hai già provato la pillola azzurra e i bpm sono scesi solo a 110? Hai tentato di incatenare il cuore, di bloccarlo, di insultarlo? Gli hai urlato di rallentare e non ti ha cagato? Nulla è cambiato intorno a te? Anzi, cominci a sentire puzza di cadaveri tutt’intorno?

E allora la pillola rossa del Dr. Morfeus è quel che fa per te!

La pillola rossa è legale e facilmente reperibile.

Certo, nei primi 3 giorni non potrai mangiare nè dormire, riuscirai solo a ballare e vorrai dare una capocciata al tuo Sponsor per dimostrargli il tuo amore immenso.

Ma dopo tutto si assesterà e la realtà, dragoni compresi, comincerà a viaggiare a 120 bpm come te.  E, finalmente, potrete ballare allo stesso ritmo.

Jump, motherfucker, jump!